Le «borie» vichiane come paradigma euristico. Hybris dei popoli e dei saperi fra moderno e contemporaneo a cura di Rosario Diana - page 74

Enrico Nuzzo
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do ravvicinatamente su ambedue quegli autori: per la loro fattuale
rilevanza nello scenario culturale napoletano primosettecentesco
(sia pure con traiettorie ben diverse); per la significativa comunan-
za derivante dalla loro condivisione (certo di differente fisionomia)
della forte curvatura civile di quella cultura; per l’interesse che rive-
la una simile dialettica di vicinanze e di distanze anche sul terreno
della loro considerazione del rapporto tra fattori naturali e caratteri
dei popoli, del loro giudizio sui modelli delle nazioni statuali con-
temporanee, del loro atteggiamento verso forme originarie o so-
fisticate di “barbarie” dei popoli, della loro rappresentazione della
patria e dell’amor di patria, etc.; infine anche per qualche ritornante
loro accomunamento storiografico, sia pure dalle prospettive più
diverse, su di un piano “ideologico” e “culturale” che investe con-
sistentemente i modelli delle nazioni europee
19
.
19
Ben nota è la prospettiva storiografica, rispetto alla quale sono in fermo
disaccordo, volta a leggere gran parte della complessiva vicenda settecentesca
napoletana sulla base della delineazione di due persistenti campi opposti, e di
valore opposto: quello dei “veteres” filoitalici (in primo luogo appunto Doria e
Vico), non a caso avvinti dalla negativa tradizione pratica del «neoumanesimo
italiano», e dunque poco attenti o avversi ai modelli delle nazioni europee più
avanzate; l’altro, dei «moderni», ispirati al «modello franco-inglese». Mi riferi-
sco ovviamente in primo luogo alla posizione critica di Raffaele Ajello, ribadita
anche in anni recenti. Si veda infatti, per un intervento degli ultimi anni, il
numero tematico della rivista, diretta da Ajello, «Frontiera d’Europa», XVI,
2006, 2, dall’eloquente titolo
Per una storia del dissenso istituzionale e giuridico. La
fondazione empirica e sociale della giustizia: un’impresa non italiana
. Di Ajello è innan-
zitutto la
Presentazione. Il problema del divario teoria-prassi
, pp. 7-18, quindi l’ampio
saggio
Le “strane contraddizioni” tra teorie e prassi. Origini e vitalità del formalismo
giuridico italiano
, pp. 19-115. Il campo positivo dei «moderni» è aperto per Ajello
da D’Andrea, «il vero patriarca della cultura giuridica meridionale» (ivi, p. 91),
seguito da Parrino, Ventura, Contegna, e poi Celestino Galiani, Intieri, e dun-
que Genovesi, etc., mentre il campo negativo è quello, fermo alla tradizione
giuridica e metafisico-umanistica, di Vico, Doria, e con questi Broggia, etc.
Non apro qui il discorso su diverse direttrici interpretative (Galasso, Giarrizzo,
Ricuperati, etc.), da me esaminate in pagine di svariati lavori. Quella prospettiva
storiografica risulta alleata o contigua con altre (di analoga o diversa matrice)
che hanno ritenuto di sanzionare il carattere negativo, conservatore, retrivo,
della componente, eredità, emblematicamente “umanistico-vichiana”. Su di un
fronte critico totalmente opposto i noti e discussi volumi di Israel hanno pre-
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