Le «borie» vichiane come paradigma euristico. Hybris dei popoli e dei saperi fra moderno e contemporaneo a cura di Rosario Diana - page 60

Enrico Nuzzo
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Uno dei punti più importanti per il nostro tema, che qui deve
restare pressoché fermo alla sua enunciazione, è che rispetto alle
vecchie borie insite o attivabili entro linguaggi, forme e tradizioni
di discorso di cui si è detto, è proprio lo scenario settecentesco a
presentare novità di rilievo rispetto a diverse borie relative ai carat-
teri dei popoli, delle nazioni, e quindi anche delle patrie.
Oltre quelle già segnalate, la novità più rilevante a me pare da
individuarsi nelle prime prove (importantissima quella vichiana) e
poi già consolidate espressioni, nel ’700, del nuovo linguaggio sto-
rico della storia dell’umanità come “storia della civiltà”, complessi-
vo, intero, “mondo civile”, e del configurarsi con esso di una nuo-
va, opposta, “boria storica”, largamente presente ancora nel mon-
do contemporaneo. Si tratta della boria derivante appunto da tale
inedita storia della civiltà (nel secondo Settecento consolidatasi in
particolare attraverso una compiuta teoria degli stadi della civiltà),
la quale, proprio tendendo a distaccarsi da una ricostruzione delle
differenze delle genti in una chiave naturalistica (tanto più del na-
turalismo fissista di matrice religiosa), conduceva ad una peculiare
responsabilizzazione storica dei popoli afflitti dalla lentezza, o ad-
dirittura dall’assenza, dei processi evolutivi propri della condizione
civile. Entro questo quadro si verificava un momento peculiare di
trasformazione del complessivo discorso “etnoculturale”, dove gli
accenti di boria propri di antiche opposizioni (come l’opposizione
“razionale-politica”, anche con le sue ragioni climatiche, del civile
al barbaro, dei Greci agli Sciti, ai Traci, etc.), si modificavano, e in
larga misura si fortificavano, con le diverse opposizioni del civile
al selvaggio (fermo alle forme di sussistenza nomadiche del racco-
glitore o cacciatore) o al barbaro, e soprattutto ai popoli colpevoli
della loro indolenza storica.
In particolare approssimandosi al tema delle identità patrie, in-
fine appare interessante (in ispecie per il nodo del nostro tema
dei rapporti tra spazi fisici e caratteri delle nazioni e appartenenze
identitarie) anche l’intersecarsi o il connettersi di tale discorso con
quello, altrettanto innovativo, della produzione (o “invenzione” se-
condo una forte direttrice critica) delle “nazioni popolari”: carat-
tere “popolare” che si può sostenere in notevole misura individui,
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