Le «borie» vichiane come paradigma euristico. Hybris dei popoli e dei saperi fra moderno e contemporaneo a cura di Rosario Diana - page 174

Francesco Piro
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come una scelta puramente tattica, chi infine come il segno di un
atteggiamento ondeggiante. Mi sembra però che la scelta del 1644-
1645 sia resa obbligata da alcune dottrine peculiarmente cartesiane
e cioè, in primo luogo, la scelta di concepire i giudizi come atti di
volontà
piuttosto che del mero intelletto. Senza questa interpreta-
zione del giudizio, sarebbe letteralmente impossibile per noi dubi-
tare di verità evidenti come quelle della matematica, come pure è
necessario fare per arrivare al
cogito
. La possibilità di sospendere il
giudizio anche di fronte all’evidenza rivela dunque la natura volon-
taria dell’atto del giudizio e l’impossibilità che esso sia determinato
dalla
sola
evidenza dell’idea.
Resta un punto sul quale Descartes resta del tutto in disaccordo
con i “molinisti”. Come Ockham, Descartes ritiene che, una volta
che il giudizio sia stato formulato, ovvero che l’assenso sia stato
dato, la volontà positiva non può più ritrarsi indietro e l’azione
viene effettuata in modo
necessitato
e non libero. Il che potrebbe
suggerire che Cartesio, in realtà, sia imbrogliando semplicemente
le carte con Mesland, dal momento che, tolta l’ammissione del-
la differenza tra determinazione morale e determinazione fisica,
tutto resta come nei teorici delle due libertà. Tuttavia, nei termi-
ni della psicologia cartesiana, la soluzione schizzata nella seconda
lettera a Mesland è del tutto inevitabile. Infatti, se è la volontà a
compiere il percorso che porta dalle idee al giudizio, non si vede
come essa possa mantenersi autonoma rispetto ai suoi stessi atti.
Né va dimenticato che, per Cartesio, il giudizio non è soltanto un
atto interiore dell’anima, ma è un atto che la “ghiandola pineale”
tradurrà in un movimento fisico, il quale darà origine al processo
tutto meccanico con cui la volontà diviene azione. La volontà dun-
que non è libera di automodificarsi immediatamente, perché il suo
potere sul corpo la rende anche suscettibile di dover dipendere dal
corpo per la realizzazione dei propri progetti. Questa è la tesi sulla
quale Cartesio costruirà il suo ultimo testo,
Passions de l’âme
, un te-
sto in cui la possibilità del volere di automodificarsi (tanto cara ai
gesuiti) è concepita come una possibilità che dipende innanzitutto
dal controllo che la mente riesce ad esercitare (spesso in tempi lun-
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