Le «borie» vichiane come paradigma euristico. Hybris dei popoli e dei saperi fra moderno e contemporaneo a cura di Rosario Diana - page 476

Rosario Diana
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In cambio di me stesso – scrive il filosofo fiammingo –, sono caricato
di una
legge
e trovo un dovere
. Infatti, poiché non mi appartengo,
non posso
cercare il mio
(né l’utile, né il piacere, né la consolazione) e, poiché sono
votato a Dio, conviene che
obbedisca ai suoi comandamenti
60
.
Ma l’
appartenenza
di tutti gli enti intramondani a Dio, che nell’uo-
mo si fa “gioiosa” e mistica
61
disappartenenza di sé
, sperimentata con
il suo esistere effettivo ed autocosciente e resa tale (ossia come
dis-appartenenza) ai nostri occhi dall’
illusione
di appartenersi
generata
dal
desiderio di essere propri
– che il testo geulincxiano rispettivamen-
te smaschera e neutralizza –, è semplicemente la condizione del
mondo, che risponde ad uno dei caratteri strutturali dell’essenza
divina: la beatitudine. Tutto obbedisce a Dio, perché l’ontologia
del divino non contempla la sua infelicità
62
. La pagina di Geulincx
è, come sempre, tersa ed efficace:
Noi obbediamo necessariamente a Dio
, qualunque cosa facciamo o non
facciamo; altrimenti
come sarebbe Iddio beato (cosa necessaria), se qualcuno
potesse resistere alla sua volontà?
Se accadesse qualcosa non voluta da lui?
60
Ibidem
(corsivi miei).
61
Interessante è l’interpretazione del pensiero geulincxiano fornita da Mi-
chele Federico Sciacca, che individua l’elemento caratterizzante della proposta
filosofica avanzata dal fiammingo non tanto nel pur centrale cartesianesimo, ma
nella più preponderante dimensione mistica di matrice platonico-agostiniana
(cfr. Id.,
S. Bonaventura e Geulincx
, in Id.,
Studi sulla filosofia medioevale e moderna
,
Napoli-Città di Castello, Perrella, 1935, pp. 27-42).
62
Inaspettatamente, è possibile parlare anche di una disappartenenza di Dio
a se stesso, dal momento che anche la divinità – pur essendo autofondata – non
sfugge alla condizione ontologica dell’esproprio di sé, non “scegliendosi”, ma
“trovandosi” necessitata ad essere. «Libero, propriamente – scrive Geulincx –
diciamo colui che determnina se stesso all’agire, senz’essere spinto da necessità
alcuna. Da ciò
è chiaro che Dio non è libero
circa ogni cosa: non è cosa libera per lui essere o
non essere, ma gli è necessario essere
. Non dico che egli voglia e non voglia essere […],
ma non può essere altrimenti» (
Metafisica vera
, pp. 276-277). Su questo punto cfr.
le interessanti osservazioni di Alessandro Ottaviano (Id.,
Arnoldo Geulincx
, cit.,
pp. 74-75) e Adolfo Levi (Id.,
Saggio sulla metafisica del Geulincx
, in «Rivista trime-
strale di studi filosofici e religiosi», II, 1921, 4, pp. 418-447, in part. pp. 442-443),
che però – dal nostro punto di vista – non eliminano la questione.
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