Le «borie» vichiane come paradigma euristico. Hybris dei popoli e dei saperi fra moderno e contemporaneo a cura di Rosario Diana - page 481

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Boria e tracollo dell’Io
psichiatrica Murphy ritiene di aver incontrato finalmente «la sua
razza, che da così tanto tempo disperava ormai di trovare»
75
; in essi
riconosce «i suoi fratelli»
76
.
Non mi dilungo a riassumere la trama, perché credo che i pochi
elementi tratteggiati lascino trasparire il tema “filosofico” del ro-
manzo: si tratta del rapporto fra Io e mondo, così come lo imposta
un grande scrittore attraverso il corredo categoriale, opportuna-
mente rimodellato, fornito da un pensatore vissuto in una diversa
costellazione storico-culturale.
«Il sole splendeva, senza possibilità di alternative»
77
: sono le pri-
me parole del romanzo, parole che lo scrittore novecentesco e il
filosofo del Seicento condividono, dal momento che non è l’Io a
causare il movimento del sole. Sono quindi entrambi d’accordo nel
considerare
estraneo all’Io
il mondo esterno alla mente: ma, se per
Beckett questa estraneità è opaca nella sua origine prima e nella
sua direzione ultima, per Geulincx è trasparente, dal momento che
corrisponde al Progetto Mondo concepito dall’intelligenza divina.
«Quanto più piacevole la sensazione di essere un proiettile senza
provenienza né destinazione»
78
: sono ancora parole del Beckett di
Murphy
, che Geulincx sottoscriverebbe senza esitare: come l’uo-
mo geulincxiano nel suo mondo teocentrico, anche nell’universo
desacralizzato dello scrittore il personaggio considera «piacevole»
– seppure sarcasticamente – la propria gettatezza, la mancanza di
un senso
propriamente umano
dell’esistere e l’infondatezza della sua
cessazione. Ma certo non approverebbe l’idea beckettiana secondo
75
M
, p. 139.
76
M
, p. 147.
77
M
, p. 17.
78
M
, p. 98. Per i personaggi beckettiani – osserva Nadia Fusini, con laconicità
densa di allusioni religiose di stampo geulincxiano – «non c’è salvezza,
nessuna
opera vale
[…]. Beckett è protestante, addirittura
giansenista
. […] Dall’orizzonte
del suo racconto è abolita ogni idea di espiazione» (N. Fusini,
Poco o niente. Il
tutto di Beckett
, in R. Colombo - G. Di Giacomo – a cura di –,
Beckett ultimo atto
,
Milano, Albo Versorio, 2009, pp. 27-33, qui p. 29. L’affermazione ricorre prece-
dentemente anche in N. Fusini,
B & B. Beckett e Bacon
, Milano, Garzanti, 1994,
p. 30).
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