Le «borie» vichiane come paradigma euristico. Hybris dei popoli e dei saperi fra moderno e contemporaneo a cura di Rosario Diana - page 475

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Boria e tracollo dell’Io
Ma l’estrema prossimità dell’uomo al nulla, che lo lascia pur
essere
qualcosa
(quel
qualcosa
, appunto, che sperimenta la propria
vicinanza al nulla, speculare alla pienezza ontologica del divino),
non gli consente nemmeno di “decidersi” per la remissione a Dio.
Infatti, per potersi
dare
alla divinità, dovrebbe in qualche modo
ap-
partenersi
(si può
dare
solo ciò che
si possiede
), ma l’Io argomentante
dell’
Etica
geulincxiana, nella versione fiamminga – dopo aver sma-
scherato tutti i pregiudizi connessi all’agire e ridotto il «paradigma
dell’efficienza» all’irrilevanza di un sogno ad occhi aperti –, non
può non concludere che
Non mi appartengo
.
Appartengo tutto intero a Dio
; sono una cosa sua […].
Non posso essere tolto a lui, o a lui sottratto, né essere staccato da lui
[…]. Voglio
essere cosa sua. Che egli mi possieda e mi possieda per l’eternità.
Voglio così e non voglio altro.
E anche se volessi altrimenti, altrimenti non
potrebbe essere. Se volessi altrimenti, vorrei, pertanto, invano. Sarei un imbecille
che sbatte scientemente la sua testa contro un muro
. Calmati anima mia! Tu
non puoi nulla? Ebbene, non volere nulla in queste condizioni. […]
Rinuncio a me stesso […]. (
Ma che dico? Non c’è il minimo merito, giacché
non sono mai appartenuto a me stesso
). La rinuncia consiste in un atto di
abbandono di sé a Dio (che dico?
Non mi posso donare a lui, perché tutto
ciò che esiste, me compreso, già gli appartiene
)
58
.
La “rettitudine” dell’uomo e la “beatitudine” di Dio si corrispon-
dono perfettamente. Il primo, scoperta la sua reale «condizione»
– inaggirabile e immodificabile («è così»
59
) –, consapevole della pro-
pria impotenza persino a “decidersi” per la rinuncia e la consegna di
sé al divino – di fatto indecidibili perché già date in forza dell’ordine
divino del mondo –, si rende, senza riserve, acquiescente ad uno
stato di cose deciso da un “altro”, «con la
contentezza
di appartene-
re a lui [Dio] e di non appartenere» a se stesso. Oltre alla “gioia”
derivante dal pieno assenso alla
disappartenenza di sé
, l’uomo “retto”
riceve in cambio una prospettiva di salvezza e un punto fermo per
la propria vita terrena: la legge di Dio veicolata dalla ragione.
58
E
, p. 115, in nota 1.
59
Ibidem
(corsivo mio).
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