Le «borie» vichiane come paradigma euristico. Hybris dei popoli e dei saperi fra moderno e contemporaneo a cura di Rosario Diana - page 274

Giuseppe D’Anna
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nuove idee in relazione a quel
novum
che percepiscono.
L’identità personale, allora, diviene transculturale, quando, attra-
verso l’esperienza, costituisce idee di nuove percezioni e le reitera
con l’abitudine: l’idea di un’identità sostanziale, esclusiva nel richia-
mare immediatamente la differenza come discrimine, si fluidifica
lungo la pluralità delle impressioni sulle quali si edificano le idee di
altri mondi. Il concetto di identità humeano, fondato sulla rinnova-
ta possibilità dell’imprimersi del nuovo, pare definirsi come la sin-
tesi di un prospettivismo mai conchiuso e perennemente cangiante.
Per Hume, inoltre, non è possibile percepire qualcosa di sempli-
ce e continuato da definire come “me stesso”:
Il genere umano non è altro che un fascio o collezione di percezioni
differenti, susseguenti le une alle altre con rapidità inconcepibile e si
trovano in perpetuo flusso e movimento. […] La mente è una sorta
di teatro, in cui diverse percezioni appaiono in successione, passano,
ripassano, scivolano via, combinandosi in un’infinita varietà di posizioni
e situazioni. Non esiste propriamente in esso alcuna semplicità in un
dato tempo, né identità in tempi differenti
25
.
Se le cose stanno in questi termini, da cosa si genera la nostra
propensione ad ascrivere una qualche identità a questo infinito fa-
scio di percezioni? In che modo è possibile unificare il molteplice
percettivo, facendo in modo che quel molteplice definisca la sin-
golare e specifica storia di un individuo e non quella di un altro?
Come si costituisce, in altre parole, il riferimento all’unicità dell’Io?
Sul versante razionalista, Leibniz, nella
Monadologia
,
riesce a for-
mulare un principio dell’io ugualmente non sostanzialistico e molto
convincente: «è solo mediante la conoscenza delle verità necessa-
rie e mediante le loro astrazioni» scrive Leibniz «che siamo elevati
agli
atti riflessivi
, i quali ci consentono appunto di pensare quel che
si chiama Io, e di considerare tutto ciò che è in noi»
26
; questa co-
noscenza, nella
Monadologia,
è quella che differenzia l’uomo dagli
animali, quella che ci innalza alla conoscenza di noi stessi e di Dio.
25
D. Hume,
Trattato della natura umana
, cit., p. 507.
26
G.W. Leibniz,
Monadologia
, a cura di S. Cariati, Milano, Bompiani, 2001, p. 71.
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