Le «borie» vichiane come paradigma euristico. Hybris dei popoli e dei saperi fra moderno e contemporaneo a cura di Rosario Diana - page 128

Enrico Nuzzo
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particolare) si deve riconoscere che non siano del tutto disgiungibili
da una peculiare cifra metafisica della sua speculazione (indubbia
nell’interpretazione che, per quanto mi riguarda, ripetutamente ne
ho data) circa la genesi e la tutela divina della mente umana.
Dall’altro, nella pratica (e senza sottovalutare, sia pure non ide-
alisticamente, le conseguenze nella prassi della fragilità dell’assetto
aperto, non ontologico, di quei fondamenti) si assiste a fenomeni
di integrazione o combinazione confusa di appartenenze per lo
più assai frammentate, e di predominio di quelle particolari, par-
ticolaristiche, prepolitiche (da quelle generazionali, o dei gruppi
individuati per
status
da tipi di consumo, di “firma” a quelle di tifo
sportivo) o “micropolitiche” (localistiche, municipalistiche, etc.)
con chiusure, magari fieramente esibite, rispetto alle altre.
Rispetto a questo quadro (per allargare minimamente il quale
sarebbe necessaria un’altra ampia sezione di questo contributo già
tanto esteso), per intenderlo e disegnarlo meglio, forse non è inu-
tile un approfondito riattraversamento e ripensamento della feno-
menologia e storia delle borie in uno con quello dei caratteri delle
nazioni e delle patrie. In particolare la riflessione di Doria e Vico,
ovviamente assai di più quella del secondo, ci dice di un modo,
un esempio, “alto” di fare procedere la meditazione sui caratteri e
modelli universali dei soggetti collettivi culturali e politici. E ciò in
un tempo, una stagione, in cui, dopo il lontano tramonto dell’or-
dine “medievale” dei fini e delle appartenenze che in precedenza
si è affidato ad una citazione di Dante, erano in discussione anche
i già mobili sistemi dei fini e delle appartenenze propri della pri-
ma età moderna. In una stagione, a Napoli, nella quale, peraltro,
pure in presenza, o forse proprio in presenza, delle angustie di una
società come quella meridionale, aperta però alle correnti di pen-
siero più alte della cultura europea e ad urgenti istanze di rinno-
vamento, v’era forse un peculiare spazio propizio all’espressione
di voci autenticamente e possentemente universalistiche. In par-
ticolare nella stagione primosettecentesca del rinnovamento della
cultura napoletana era prossimo, ma ancora doveva costituirsi, il
disegno, l’ideologia, degli intellettuali “riformatori” di contribui-
re all’edificazione di una moderna nazione rinnovata economica-
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