Le «borie» vichiane come paradigma euristico. Hybris dei popoli e dei saperi fra moderno e contemporaneo a cura di Rosario Diana - page 124

Enrico Nuzzo
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Più in genere il pensatore napoletano imprimeva sui caratteri
delle nazioni la possente orma della forza dello “storico”. In primo
luogo dello “storico sacro”, per così dire, essenziale per intendere
genesi, propagazione, caratterizzazione, delle nazioni gentili, poi
anche, ben più problematicamente, per intendere l’incidenza (non
poco problematica pure nella modernità) che hanno le “vere” re-
ligioni monoteistiche nelle vicende delle nazioni, ma anche quelle
pagane, come quella mansueta dei cinesi appena richiamata (ed
in ultimo però riconducibile alla molle natura climatica di quelle
lontane distese di terre). In secondo luogo dello “storico evene-
menziale”, per così dire, come eloquentemente attestano gli esem-
pi di Numanzia (dal momento che «i numantini […] sul loro pri-
mo fiorire dell’eroismo furono oppressi dalla romana potenza») o
quello più recente degli Americani
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. In terzo luogo anche dallo
«storico-politico», perché l’umana prudenza politica, nei tempi nei
quali può riflessivamente affermarsi, può concorrere a conservare
o meglio disporre, attrezzare, fissare, i caratteri dei popoli. Ma era
confronti sia delle posizioni religiose tradizionali, sia di molte posizioni che an-
davano maturando nell’incipiente stagione illuministica di esclusione “boriosa”
dei popoli selvaggi, o anche barbari, dallo scenario di un’umanità che doveva
corrispondere al requisito di essere “civile” (posizioni che, si è visto, è stato det-
to configurare un “lato oscuro dell’Illuminismo”). Non soltanto, quell’universa-
lismo può ancora parlare nel nostro tempo pure allorché si rifletta e si discuta,
come oggi, sulle forme di “borie” legate alle esperienze religiose, in primo luogo
le monoteistiche. Su ciò dirò qualche parola sul finire di queste pagine.
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Va ricordato che Vico riteneva i popoli (almeno taluni popoli) americani vi-
cini alla maturità in ragione del loro essere usciti dalla condizione patriarcale, im-
mersi nella quale, cioè in una condizione di aconflittuale inarticolazione sociale,
non si può procedere verso la «civil potestà». Come segnalava Landucci, Vico
indicando la presenza di famoli-schiavi nelle «famiglie» degli Americani al tempo
della loro scoperta da parte degli Europei, indicando cioè che erano già usciti
dallo stadio delle «famiglie di soli figlioli», rendeva «plausibile un avviarsi tale
di quei popoli verso la “civil potestà”, fuori della situazione patriarcale, quale
egli […] riteneva ormai maturo ed imminente allorché erano stati scoperti dagli
Europei» (S. Landucci,
I filosofi e i selvaggi. 1580-1780
, Bari, Laterza, 1972, p. 285).
Anche in tal caso il permanere in una condizione “selvaggia” (presedentaria) o
“barbara” non era destino naturale di nessuna nazione, come invece volevano le
più “boriose” prospettive eurocentriche della cultura occidentale.
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