Le «borie» vichiane come paradigma euristico. Hybris dei popoli e dei saperi fra moderno e contemporaneo a cura di Rosario Diana - page 123

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La «boria delle nazioni»
Al di là della fermezza e importanza di tali premesse “naturali-
stiche”, tuttavia la scienza vichiana del mondo delle nazioni tutte
infine le richiamava, riconduceva, entro le sequenze e finalità del
corso storico, e del retroagire della “storia” sulla “natura”.
Tale corso prevede il muoversi di tutte le nazioni verso la “causa
finale” di «una compiuta umanità» (corso che, certo, è tutt’altro
che garantito, e può essere «da straordinarie cagioni impedito»); ma
ammette anche un’accelerazione del conseguimento di tale «uma-
nità», che «sembra essere sparsa per tutte le nazioni, poiché pochi
grandi monarchi reggono questo mondo di popoli», in ciò assistiti
innanzitutto da forme di religione “universale”, “universalizzan-
te”, quale quella cristiana, o quella «mansueta» dei cinesi, come si-
milmente la coltivazione delle «lettere» o delle «scienze» costituisce
un analogo fattore culturale di estremo rilievo
92
.
quasi
ingenitum
, che sia
natura
, come dissero
ingenium coeli
,
ingenium soli
; e tanto non
si acquista, e migliora, che s’
inflievolisce
, e si
disperde
con la coltura delle S
cienze
, e
dell’
Arti
» (
Sn30EC
,
CMA3
, p. 447).
92
Ivi, specie pp. 954-955 (§§ 1089, 1091). Pare da osservare come l’idea, l’ide-
ale, di un «mondo di popoli» sempre più ravvicinati da un’«umanità […] sparsa»
in «tutte le nazioni», nessuna delle quali dunque debba essere boriosamente re-
spinta o messa al margine da un comune tracciato, risponda ad accenti indubbi
di una “filosofia della storia” che vede la riconfigurazione dell’idea di un ritorno
(certamente non destinale) dal “molteplice” verso l’“uno”. Tale ritorno è assisti-
to in particolare dall’operato di una religione «pura» quale specialmente è quella
del monoteismo cristiano. Tuttavia si è appena visto come il pensatore napo-
letano non mancasse di riconoscere e valorizzare il carattere di mansuetudine
di religioni non monoteistiche, come quella cinese (e si ricordino i caratteri di
«modestia» e «innocentia» impressi agli Sciti dalla loro religione), obliquamente
configurando una loro partecipazione all’edificazione, almeno normativa, di un
tempo di concorde conseguimento dell’“equo giusto”. Il carattere profondo
di religiosa metafisica della meditazione di Vico (sul quale ho ripetutamente
insistito proponendo la mia interpretazione di essa) si esprimeva in una forma
di universalismo la quale, ovviamente, non doveva comprimere l’orrore verso
la crudezza della barbarie originaria (però di un’umanità non altra da sé), né
impediva una connotazione “eurocentrica” di una visione di un corso storico
pur nella sua tendenza “egualitario”, e poteva tranquillamente legittimare forme
di “pedagogia autoritaria”, e così via. Tuttavia quella forma di “universalismo
cristiano”, accanto ad altre (come quelle di certo universalismo cristiano nella
cultura inglese del pieno ’700), era non poco significativo ai suoi tempi e nei
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