Le «borie» vichiane come paradigma euristico. Hybris dei popoli e dei saperi fra moderno e contemporaneo a cura di Rosario Diana - page 451

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Il sacro, il mito e il mondo civile
ne costituisce un riferimento così costante? La risposta può essere
trovata, in linea generale, nella separazione di ragione e storia, nella
pura logicità cui ambisce la ricerca eidetica. Niente di più lontano
dalla ricerca vichiana, la quale parte dall’
autorità
, dal
certo
, la sua “da-
tità” è la stessa datità storica compresa attraverso il
vero
, la
filosofia
,
che, a sua volta, si esplica solo attraverso la
filologia
. Non importa
allora giungere all’
essenza
, perché questa, la
natura
, si risolve nel fe-
nomeno, in quanto
guisa
, cioè
modificazione
, trasformazione della
cosa
. Con gli occhi di Vico, risulta inaccettabile la separazione di
genesi e validità posta da Husserl a premessa della fenomenologia.
La storicità, che non può mai venire elusa, s’infiltra nella pretesa
assolutezza della “datità”, e s’impone come immediata, cioè non
pensata, quando essa invece è mediatezza. L’ordine oggettivo non
può dunque essere altro che l’ordine genetico. La
cosa
può essere
compresa solo se viene seguita nel suo farsi. L’essenza si fa, è il
suo stesso farsi. D’altra parte, la realtà – che è sempre, in senso
lato, realtà sociale, secondo la lezione vichiana e durkheimiana –
non è trasparente, non si dà alla pretesa ricerca pura, che aspira a
raggiungere l’oggettività privandosi di un giudizio. La ricerca opera
nel pre-giudizio, come Vico aveva appreso da Bacone. Altrimenti,
svuotata di tutto, non può essere ricerca, e non può essere critica.
Ciò che si può fare è rendere espliciti i pregiudizi, gli
idola
, non
espellerli dal giudizio al punto tale che il soggetto giudicante diven-
ti uno con l’oggetto giudicato. Così facendo, infatti, l’oggetto detta
al soggetto la sua immediatezza, la quale non è tale, non è sempli-
ce, non è trasparente. Il soggetto, pretendendo di cogliere la
cosa
stessa
nella sua purezza assoluta, finisce paradossalmente per adot-
tare ingenuamente ciò che è già un prodotto, senza riconoscerne
il
sostrato concreto
, che è di ordine storico-sociale. E raddoppia così
acriticamente, anche se con l’apparenza del rigore scientifico, la
coscienza comune. Anche il vissuto specifico dell’anima religiosa
non è infatti un dato immediato, nella misura in cui essa è in tutto
e per tutto un prodotto sociale.
Si trova qui l’origine dell’identificazione tra il
vissuto
e la
cosa
ope-
rata dalle filosofie della religione che s’ispirano alla fenomenolo-
gia: ciò ha reso possibile l’ipostasi del sacro, del mito, quindi della
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