Le «borie» vichiane come paradigma euristico. Hybris dei popoli e dei saperi fra moderno e contemporaneo a cura di Rosario Diana - page 347

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L’arroganza della teoria
All’opposto di questa tipologia, occupata da soggetti statici, inca-
paci di mutamento e di evoluzione, esistono altri individui, mobili
e inquieti, fatti di incertezze, di squilibri e di una sviluppata auto-
riflessione. Sono coloro che si osservano mentre vivono e hanno
i segni caratteristici degli uomini del mondo dopo Copernico. Se
analizzano il movimento di una gamba che compie un passo, tra-
sformano l’ingranaggio dei muscoli in «una macchina mostruosa
[…] una complicazione enorme che perdette il suo ordine – dice
Zeno – dacché io vi ficcai la mia attenzione»
17
. Gli inetti incarnano
il prototipo che Svevo descrive nelle righe della
Corruzione dell’anima
e che ha come dote il «malcontento», destinato a essere la molla
dell’esistenza. Per loro non c’è stabilità o fissità, ma un perpetuo
oscillare tra condizioni diverse, un perenne mutare di stato e di idee,
come in un processo mai perfettamente concluso. Di questo perso-
naggio Svevo può dire che «voleva tutto, sempre tutto. Tutte le ore
del giorno e tutti i climi della terra dovevano essere suoi». Egli non
può arrestarsi mai. Non conosce tregua, ma un solo, incessante mu-
tamento: «Questo suo malcontento lo faceva andare e l’oggi dolo-
roso s’illuminava della dimane incerta, imprecisabile, ma luminosa
di speranza»
18
. Sprovvisto di qualunque forma, è il personaggio del
possibile. I suoi saperi sono provvisori e fluidi: come provvisoria e
fluida è la sua vita mai compiuta per sempre. Per lui, a differenza dei
suoi antagonisti, non può esistere nessuna forma di boria.
17
Ivi, p. 731.
18
Id.,
Teatro e saggi
, cit., p. 886.
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