Matteo Palumbo
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di vicende note. Questa soluzione diventa perfino rassicurante. La
malattia, ai suoi occhi, appare, infatti, «cospicua», giacché «gli ante-
nati arrivavano all’età mitologica» (p. 1049). Queste considerazioni
tendono a banalizzare i risultati che il medico raggiunge. Per Zeno
il Dottor S. diventa il prototipo di un sapere facile, meccanico, che
adatta i dati all’interno di una soluzione già precostituita. Zeno non
può che opporre, alla sicurezza del suo analista, la costatazione di
uno squilibrio che non si è annullato. Ma anzi persiste, e contrasta,
con il proprio invariato disordine, il perentorio convincimento del
dottore: «Ne rido di cuore. La miglior prova ch’io non ho avuta
quella malattia risulta dal fatto che non ne sono guarito». La dia-
gnosi, per Zeno, cozza contro questo elemento primo. Il fallimen-
to è così autoevidente che dovrebbe persuadere lo stesso dottore,
incrinando le sue certezze: «Questa prova convincerebbe anche il
dottore. Se ne dia pace».
Perfino la ricompensa, che la vicinanza del dottore sembrava
offrire, è svanita, come una bella e ingannevole bolla di sapone.
Riattingere, attraverso la psicanalisi, il tempo perduto è solo una
seducente illusione. La chimera di ritrovarlo si è spenta del tutto,
lasciando Zeno in balia dell’impietoso e fatale presente: il «vero
spazio in cui non c’è posto per fantasmi» (p. 1055), e, perciò, fuori
dell’«abisso» (p. 1053) del tempo, che ingoia uomini e fatti, can-
cellando «sorprese» ed «emozioni» (p. 1049). In luogo della me-
raviglia per le incredibili resurrezioni di episodi lontani, garantite
dalle assicurazioni del medico e convalidate dalla stessa eccitazione
di Zeno
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, è apparsa un’altra consapevolezza: più scettica, ma non
necessariamente inappagata o delusa. Zeno, nel bilancio che sta al-
lestendo, riflette, prima di tutto, intorno alle immagini che lo han-
no accompagnato durante l’intera terapia. Ragiona del loro statuto
e dell’autenticità che esse posseggono. Discute del quoziente di
verità del loro esistere e misura la corrispondenza con gli avveni-
menti effettivamente vissuti. A questo punto del suo cammino, egli
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«Ed io non simulai quell’emozione. Fu anzi una delle più profonde ch’io
abbia avuta in tutta la mia vita. Madida di sudore quando l’immagine creai, di
lagrime quando l’ebbi» (p. 1050).