Le «borie» vichiane come paradigma euristico. Hybris dei popoli e dei saperi fra moderno e contemporaneo a cura di Rosario Diana - page 254

Rossella Bonito Oliva
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Autoabnegazione è quanto richiede la consapevolezza del limite,
che non induce alla rinuncia, piuttosto dà senso a questo “sacri-
ficio” da cui si sprigiona un «dolce e nobile sentire». Il filosofo
caduto dalle nuvole dove lo aveva collocato Aristofane, tentato
dalla pigrizia come dalla boria, può rinunciare a sognare come a
respirare furiosamente, assumendo la
phronesis
nel giusto ritmo del
respiro vitale, che governa la paura. Tra il sentimento dell’imper-
fezione e l’ideale della perfezione, tra la difettività e il dover essere
si apre il cammino che richiede più che una misura, il sacrificio.
Solo l’autoabnegazione, l’assunzione volontaria dell’impossibilità
di spingersi oltre, conforta del limite e della rinuncia, trattenendo
da un sogno ad occhi aperti
20
.
Nella tradizione di un immaginario che lo trova sempre fuori
luogo e fuori tempo, indifferente allo scetticismo, pronto come
Socrate nell’accettare il processo, il filosofo usa con saggezza l’at-
titudine umana ad equilibrare il lontano con il vicino, il non fa-
miliare con il familiare, scandendo le dimensioni del dentro e del
fuori, risolvendo la duplicità dell’umano in operazioni creative nei
limiti della ragione, senza l’illusione di facili consolazioni, evitando
di scambiare la difficoltà con l’impossibilità del compito. Questa
oscillazione richiede un difficile equilibrio facilmente frangibile
nello spazio chiuso del finito, quando il limite gioca da confine
dello spazio dell’esperienza e da misura del bisogno metafisico in
cui ancora più radicalmente il soggetto sperimenta l’unica via pos-
sibile per sfuggire all’impotenza. All’uomo non rimane che sostare
e abitare sovranamente in questo confine, al cui interno il soggetto
può sempre sperimentare un senso di solitudine e nostalgia. Con
un’immagine usata per l’ultima produzione di Hölderlin, il filoso-
fo guarda dall’alto di una torre in cui «il contemplare dà al cuore
P. Carabellese, riv. da R. Assunto e R. Hohenemser, Bari, Laterza, 1953 pp. 303-
363, qui pp. 319-320. Sul tema della melanconia in Kant si veda C. Colangelo,
Limite e melanconia. Kant, Heidegger, Blanchot
, Napoli, Loffredo, 1998, in part. pp.
53-102.
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Sull’attenzione che Kant pone al rischio di scivolare da una scienza non
fondata a una forma di
Schwärmerei
cfr. R.E. Butts,
Sogno e ragione in Kant
, tr. it.
a cura di M. Fornai, Roma, Nuove Edizioni Romane,1992, in part. pp. 13-27.
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