Le «borie» vichiane come paradigma euristico. Hybris dei popoli e dei saperi fra moderno e contemporaneo a cura di Rosario Diana - page 250

Rossella Bonito Oliva
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originariamente indeterminato e instabile, ma capace di mettere a
distanza per guardare più lontano e da una prospettiva più ampia,
scandendo il proprio ritmo di vita, trattenendo e rilasciando il re-
spiro nell’intervallo tra impulso, rappresentazione e azione gover-
nato dall’immaginazione.
Se Platone avverte della problematicità dell’equilibrio tra deside-
rio e ragione e Aristotele suggerisce l’ipotesi del fattore creativo
dell’eccedenza e dell’instabilità del carattere melanconico, la do-
manda sulla natura umana legge nella genesi dell’individuazione del
vivente-uomo l’intreccio di questi fattori nella risoluzione dell’in-
determinazione originaria. In qualche modo se la traduzione del
mondo in immagini e nomi è l’uscita dall’angoscia immobilizzante
dinanzi allo smisurato e l’ignoto attraverso la familiarizzazione fa-
vorita da questa mediazione, la melanconia è la sfumatura che ac-
compagna questa sostituzione del mondo con un universo simboli-
co, conservando nel fondo la traccia dell’artificio e della mancanza
originaria. Tutto questo non compensa la distanza e non cancella
l’ulteriorità del mondo così come la spinta all’esplorazione e l’adat-
tamento creativo. La melanconia rimane una patologia del tutto pe-
culiare, umana troppo umana, in cui la sofferenza solitaria e medi-
tativa non è solo “assenza d’opera”, ma la sfumatura di un carattere
creativo. Non è un caso perciò che nell’immaginario moderno la
patologia dell’umor nero attecchisce proprio nell’umanesimo, tra-
sformandone il significato che aveva nella metafisica medioevale
15
.
Al di là della teoria degli umori che continua ad avere un suo peso
scientifico, l’atteggiamento distaccato del melanconico più che un
disinteresse, connota in questo contesto culturale l’attenzione av-
vertita del compito di questo vivente dinanzi alla complessità del
mondo divenuto non solo più esteso, ma più profondo, traccia vi-
sibile di un invisibile, superficie stratificata, riflesso di uno sguardo
carico di aspettative. La melanconia non è perciò tristezza inerte,
ma dubbio disincantato verso quanto è a portata di mano, fugge-
vole in vista di un approdo reso paradossalmente più sicuro dalla
15
Cfr. R. Klibansky - E. Panofsky - F. Saksl,
Saturno e la melanconia. Studi su
storia della filosofia naturale, medicina, reglione e arte
,
tr. it., Torino, Einaudi, 2002.
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