Le «borie» vichiane come paradigma euristico. Hybris dei popoli e dei saperi fra moderno e contemporaneo a cura di Rosario Diana - page 85

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La «boria delle nazioni»
Il giudizio di Doria sulla Cina era stato infatti fin da principio
complesso, e aperto a valutazioni sia pur limitamente positive. Già
nella
Vita civile
, all’elemento negativo della pochezza nell’«esercizio
dell’armi», che deriva da un’indole molle, e quindi da «pigrizia» e
«viltà d’animo», elemento che si collega poi a quello della pratica
del «veleno del lusso», si congiungeva però la felicità, che viene da-
gli «studj delle lettere», comunque universalmente diffuse
35
. Dove
è importante osservare un raro ricorso al linguaggio “etnogeogra-
fico” corrente per spiegare i caratteri dei popoli, però assai conte-
nuto e del tutto lontano da posizioni di “determinismo naturalisti-
co”, dal momento che quei caratteri erano in sostanza ricondotti a
«massime» politiche (tra le quali peraltro la massima maliziosa dei
Cinesi è di quelle prese «a caso»).
Quanto al successivo e poi più tardo e “ultimo” Doria, va al-
meno richiamata l’aggiunta apposta nella terza edizione della
Vita
civile
nella quale egli indicava come ragione della «lunghissima serie
di anni» nei quali è stato ed è «felice l’impero della Cina», la mas-
sima dell’affidamento ai filosofi, ai «savj», dell’educazione e poi
del costante “consiglio” da parte loro del «principe»: un sistema
di “mandarinato” che era la più fedele traduzione moderna del
modello platonico del governo dei filosofi
36
.
35
«I Cinesi, a mio credere, molli, e dilicati, e tanto nemici dell’esercizio dell’ar-
mi, quanto amici di quella soave tranquillità, e di quella coltura, che danno gli
studij delle lettere, quando elle si rendono universali in un regno, ma però non
son vere; i Cinesi, dico, han trovato un’altra massima particolare di governo»:
cioè di non fare resistenza ai nemici, ma poi conquistarli facendo loro «bere
insensibile e dolcemente il veleno del lusso, e della morbidezza». «Da questa
maliziosa arte de’ Cinesi adunque nasce, che i popoli barbari appo loro si ren-
dono miti; e, renduti miti, continuano a godere la felicità che si han proposta.
Ma questa massima è fallace, e dannosa» perché «espone i popoli» a soffrire per
lungo tempo gli effetti della barbarie dei popoli conquistatori prima che questi si
siano inciviliti, «come hanno esperimentato i Cinesi co’ Tartari, e già vide l’Italia
co’ Longobardi» (P.M. Doria,
La vita civile…
,
cit., pp. 254-255).
36
In Cina «l’imperadore […] non può eleggere per suoi ministri altri, che i
manderini: onde poi ne avviene, che se l’imperadore della Cina è poco abile
al governo la sapienza de’ ministri supplisce al difetto del principe, i quali co-
prendo i di lui difetti, il decoro del governo assicurano; e se poi avviene che ’l
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