Le «borie» vichiane come paradigma euristico. Hybris dei popoli e dei saperi fra moderno e contemporaneo a cura di Rosario Diana - page 400

Roberto Evangelista
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turale tedesca non fece altro che sostituire una nuova tecnica per
identificare i complessi culturali e sistemarli nel tempo, identifican-
done l’intreccio di cause ed effetti, dimenticando il
tutto vivente
che
costituisce una civiltà e i modi che questa ha di risolvere problemi
esistenziali
10
. In verità, in questo articolo, il passaggio che si com-
pie rispetto ai due saggi di
Naturalismo e storicismo nell’etnologia
è pro-
prio l’affermazione della scuola storico-culturale e dello storicismo
come l’altra faccia della medaglia del naturalismo. La critica che de
Martino muove a Vico e a Bachofen va proprio in questo senso.
Al fondamentale atteggiamento naturalistico della cultura tradizionale
di fronte alle forme culturali del mondo popolare subalterno non
contraddice, ma anzi porge conferma, lo stesso atteggiamento di un
Vico o di un Bachofen. Infatti è ben vero che Vico formulò per primo il
mondo di cose più che di persone, un mondo naturale che si confonde con la
natura dominabile e sfruttabile […], in rapporto al fatto che tale mondo, per la
società borghese, forma problema quasi esclusivamente […] per conquistatori,
agenti commerciali e funzionari coloniali, per prefetti e per questori, in rapporto
al fatto che qui il problema pratico dell’
ordine
serba un posto preminente, le for-
me culturali di quel mondo si sono configurate essenzialmente come materiale
da praticamente
ordinare
in una scienza naturale dell’uomo, come un complesso
di problemi tecnici per filologi addestrati. Il circoscritto umanesimo della “ci-
viltà occidentale” inerisce dunque alla struttura stessa della società borghese:
appunto perché è carattere di tale società che Cristo non vada “oltre Eboli”,
il mondo che vive “oltre Eboli” è apparso alla etnologia e al folklore borghesi
come astorico, ovvero come storia possibile ma che attualmente non si affaccia
alla memoria dello storiografo» (ivi, p. 412).
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«Anche quando si parlò di “storia” […], si trattò in fondo soltanto di una
nuova tecnica di lavoro etnologico, di un metodo empirico che permettesse
di identificare i complessi culturali, di stabilire la loro successione nel tem-
po, di accertare l’intreccio delle cause e degli effetti. Se si produsse […] uno
scambio così grossolano tra filologia e storia, fra strumenti euristici e effettiva
memoria storica, fra descrizione esterna dell’accadere e significato umano dell’
accadimento, se fu possibile credere di fare storia mercé la meccanica e rigida
applicazione del metodo statistico, se infine così a lungo si mostrò di aver di-
menticato che una civiltà è un organismo vivente, ed in più un modo significa-
tivo di risolvere determinati problemi esistenziali, la ragione di ciò è da ricercar-
si sempre nella ricordata connessione fra lo sfruttamento politico delle masse
popolari subalterne e la considerazione naturalistica della loro cultura» (ivi, pp.
413-414).
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