Le «borie» vichiane come paradigma euristico. Hybris dei popoli e dei saperi fra moderno e contemporaneo a cura di Rosario Diana - page 394

Geri Cerchiai
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Fino all’ultimo perseguitato dalle istituzioni ecclesiastiche,
Buonaiuti non seppe cogliere, nel 1945, quella dimensione di uni-
versalità alla quale Vico aspirava dalla Napoli settecentesca. Col
restringere d’altra parte le determinazioni del pensiero vichiano
all’interno di una categoria ermeneutica come quella della “tradi-
zione mediterranea”, egli rimase inoltre legato ai termini di una
polemica ormai destinata a perdere di consistenza, precludendo-
si in definitiva la possibilità stessa d’inquadrare il significato della
Scienza nuova
nella più ampia cornice della complessiva cultura fi-
losofica europea
60
.
l’Inquisizione
, in «Nouvelles de la République des Lettres», 2, 1999, pp. 93-124).
In un recentissimo intervento intitolato
Religione, filosofia e modernità in Vico (con
un’appendice su “Vico, Thomas Gataker e la filologia protestante”)
tenuto al Convegno
su
Razionalità e modernità in Vico
(atti a cura di M. Vanzulli, Milano, Mimesis, 2012,
pp. 179-185), Costa ha scritto fra l’altro: «Torniamo al contesto storico, ossia alla
crisi della coscienza europea, a patto di modificare radicalmente lo schema sto-
riografico di Paul Hazard per intendere meglio la realtà italiana. In Italia, fra il Sei
e il Settecento, la crisi della coscienza europea è crisi della Chiesa tridentina e del
suo strapotere, che tende a soffocare ogni nuova iniziativa […]. Solo da quando
mi sono immerso nello studio dei documenti dell’Indice e dell’Inquisizione ho
potuto rendermi conto della ragione delle anomalie italiane, fra le quali non esito
ad annoverare la
Scienza Nuova
: un capolavoro filosofico, solo apparentemente
sganciato dal pensiero europeo. In realtà quel libro contiene verità esplosive, ce-
late sotto la superficie banale di dichiarazioni opportunistiche» (ivi, p. 186).
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«Nella storia europea – ha scritto di nuovo Chabod in
Appendice
alla sua
Storia dell’idea d’Europa
(cit., p. 167) – volta per volta un popolo è stato l’antesi-
gnano, ha portato la fiaccola della civiltà: ma tutti quelli che sentivamo veramen-
te come
Europa
sono stati, almeno in un punto e in un momento antesignani e
hanno
dato
agli altri. Francesi e Italiani, Tedeschi e Inglesi, Spagnuoli e Svizzeri
e Olandesi e Polacchi e scandinavi, tutti hanno aggiunto qualcosa di proprio al
gran bene comune: quasi una famiglia i cui membri debbono contribuire, sia
pure in diverse proporzioni, ad accrescere il possesso comune […]. Un paese
vi darà Dante e Michelangelo, e Tiziano, Leonardo e Galileo, e Vico, Palestrina
e Verdi; un altro Corneille e Voltaire, Pascal e Montesquieu, Manet e Debussy;
un altro Shakespeare e Bacone, Newton e Locke, Adamo Smith e Schelley; un
altro Goethe e Kant, Dürer e Bach, Mozart e Beethoven […]: ma insomma,
tutti qualcosa han dato».
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