Le «borie» vichiane come paradigma euristico. Hybris dei popoli e dei saperi fra moderno e contemporaneo a cura di Rosario Diana - page 391

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Ernesto Buonaiuti
residui di trascendenza e dualismo che pure permanevano nel cri-
ticismo
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; più ancora, però, in queste pagine veniva definitivamente
fermato il nesso fra la «barbarie concettuale» dell’idealismo e il
totalitarismo nazista:
È passato poco più di un quindicennio [da quando scrivevo l’ultimo
capitolo della prima edizione del Lutero] e Dio mi ha concesso l’amara
ventura di vedere tradotta in realtà lamia previsione. Nell’ultimo capitolo
della prima edizione di questo
Lutero
io avevo cercato di individuare
le tappe attraverso cui è passata negli ultimi secoli la laicizzazione
progressiva della spiritualità religiosa inGermania. Il soggettivismo della
giustificazione per fede mi appariva trasmigrato nel soggettivismo della
ragione pura e delle sue forme “a priori”. L’idealismo post-kantiano
aveva abbattuto il simulacro della inattingibile cosa in sé. Aveva così
aperto il varco al postulato della totalitaria spiritualità del reale, di cui
la eticità dello Stato è il corollario inevitabile e l’applicazione concreta.
Dalla statolatria hegeliana al nazismo, il passo era inevitabile
51
.
Poche righe appresso, Buonaiuti proseguiva poi, e significativa-
mente, con un riferimento a quel Tacito che, autore vichiano, si
è già visto incarnare nell’antico popolo germanico la barbarie
sub
specie aeternitatis
:
il movimento nazista sorse a fare appello ai motivi della razza e del
sangue, trasformando la consapevolezza nazionale della Germania
unita in un senso etnico e razziale perfettamente analogo a quel senso
tribale caratteristico dei germani descritti da Tacito. Era il modo più
acconcio a superare le divisioni concettuali
52
.
50
«È risaputo – scrive Buonaiuti – come nella filosofia kantiana fosse rimasto,
allo stato fluido e indistinto, un certo dualismo. Il concetto del “noumeno”,
della cosa in sé, allo stato di nebulosa irraggiungibile e indefinibile, rappresenta,
si potrebbe dire, in forma grossolana un ostacolo da superare o un’aporia da tra-
sfigurare. La posizione di Kant era in realtà una posizione di equilibrio instabile
e precario» (ivi, pp. IX-X).
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Ivi, pp. X-XI.
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Ivi, p. XI.
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