Le «borie» vichiane come paradigma euristico. Hybris dei popoli e dei saperi fra moderno e contemporaneo a cura di Rosario Diana - page 304

Alessia Scognamiglio
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anche Galiani non può più rinunciare ai suoi «Hoymliym»: una
volta conosciuti e poi perduti non c’è più speranza di accontentarsi
dei cavalli degli altri, che gli procurano una fatale e disperata noia
16
.
Questo celebre paragone, che si trova in una lettera a d’Hol-
bach, lascia davvero intravedere il Galiani più vero ed autentico,
lacerato nel forzato “esilio” napoletano dalla lontananza da Parigi,
oppresso da Napoli e da tutti quelli che nel Regno credono di fare
e promuovere cultura, inconsapevoli di imitare solo stancamente il
passato, celebrandone il culto vuoto. In una città dove ogni cosa è
attardata e vecchia, dove manca assolutamente il “salotto”, inteso
come unico luogo di elezione per fare nascere e coltivare il dialogo
vivo ed autentico, e dove si è liberi di poter giocare con le idee
17
,
prendere in giro è l’ultimo antidoto che Galiani ha a disposizio-
ne se non per vivere, almeno per sopravvivere e per non perdere
il sorriso della ragione
18
. La scrittura epistolare, che in lui era già
puis je dors ou je rêve. Quelle vie! Rien n’amuse ici [...]. On ne dispute de rien,
pas même de religion. Ah! Mon cher Paris! Ah! Que je le regrette!» (
Correspondan-
ce
,
Galiani a d’Holbach
, lettera del 7 aprile 1770, vol. I, pp. 93-94).
16
Sulla traccia Galiani-Gulliver cfr. P. Amodio,
Il disincanto della ragione e l’asso-
lutezza del
bonheur
. Studio sull’abate Galiani
, Napoli, Guida, 1997, p. 155 e
passim
;
Id.,
Tra libertinismo e Illuminismo: il nomadismo della ragione nell’epistolario di Ferdinando
Galiani
, in «Atti dell’Accademia di Scienze Morali e Politiche», CV, 1994, pp. 43-
110, e in part. pp. 69-87; S. Rapisarda,
I cento spiriti dell’abate Galiani
, in L. D’Epi-
nay - F. Galiani,
Epistolario
, 2 voll. a cura di S. Rapisarda, Palermo, Sellerio, 1996.
17
Per questa “visione” del salotto in Galiani cfr. B. Croce,
Conversazioni filo-
sofiche, VII, Galiani. Di alcuni suoi detti filosofici
, in «La Critica», XL, 1942, p. 201.
18
«Il ne s’agit pas de mon plaisir seul, il s’agit de ma vie. Je sens et j’éprouve
tous les jours davantage, qu’il m’est physiquement impossible de vivre hors de
Paris. Pleurez-moi pour mort, si je ne reviens pas» (
Correspondance
,
Galiani a Mme
d’Epinay
, lettera del 14 agosto 1769, vol. I, pp. 18-19). Molto bella la definizione
che dell’epistolario dà Paolo Amodio: «L’epistolario galianeo non va valutato
[…] come un semplice diario testimoniante la mutevolezza degli umori – che
interesse avrebbe qualcosa a cui tutti gli uomini sono sottoposti? – ma può
rappresentare, in parallelo, l’esperimento di una tecnica dell’intelligenza, un vero
e proprio
errare
della ragione nei territori disparati del mondo umano. Una ra-
gione, che nel suo esercizio critico, tradisce certo una perplessità di fondo, ma
riconosce la propria perplessità e sa, serenamente, sorriderne» (P. Amodio,
Il
disincanto della ragione e l’assolutezza del
bonheur
. Studio sull’abate Galiani
, cit., p. 28).
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