Le «borie» vichiane come paradigma euristico. Hybris dei popoli e dei saperi fra moderno e contemporaneo a cura di Rosario Diana - page 294

Roberto Mazzola
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Perché, dunque, si chiede Buffon, rattristarci con l’idea della
prossima fine della nostra esistenza terrena? In fondo viviamo solo
una breve parte della vita. Così come ogni notte il sonno ci priva
del sentimento d’esistere, perché non accettare l’idea che la vita
non è un filo continuo che all’improvviso si spezza bensì è una ca-
tena interrotta da continui tagli? Perché dunque ci preoccupiamo
di allungare questa catena che si rompe ogni giorno?
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Come abbiamo visto scienze naturali, calcolo delle probabili-
tà, riflessione morale sono gli strumenti utilizzati da Buffon per
stroncare i vaneggiamenti dei suoi contemporanei sull’allunga-
mento della vita; nel suo discorso però sembra aprirsi una crepa
allorquando si sofferma sul problema degli ultracentenari.
Nel 1749 Buffon aveva fatto cenno alla notizia, comparsa sulle
«Philosophical Transactions», di due dignitari della corte inglese
arrivati a centoquarantaquattro e centosessanta anni, a distanza di
quasi trent’anni. Nell’
Addition
ritorna sull’argomento riportando
un gran numero di casi di ultracentenari sparsi in mezza Europa.
Di primo acchito questa attenzione per i casi estremi di longevità
sorprende per l’ingenuità e assenza di spirito critico in stridente
contrasto con la valanga di cifre che sommergono il lettore del IV
supplemento.
Questa raccolta aneddotica, più o meno amena, può apparire
quanto meno bizzarra e si potrebbe pensare ad una concessione ad
un genere di letteratura che vantava precedenti illustri: basta pesare
al
De vita hominis ultra CXX annos protahenda
pubblicata nel 1550 dal
medico Tommaso Giannotti.
infermità non verranno eventualmente a turbare il piacere tranquillo e dolce dei
beni acquisiti con la saggezza che sola può renderci veramente felici. «Nous ne
sommes donc jamais vieux si notre morale n’est pas trop jeune; le philosophe
doit dès-lors regarder la vieillesse comme un préjugé, comme une idée contraire
au bonheur de l’homme, et qui ne truble pas celui des animaux» (p. 144).
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Cfr. ivi, p. 149. L’uomo saggio deve allontanare da sé le idee che provocano
infelicità e considerare la vita e la morte per quello che effettivamente sono:
«Car cesser d’être n’est rien, mais la crainte est la mort de l’ame». La morte non
è né un gran bene né un gran male, come sostengono i moralisti, ma il naturale
completamento della vita.
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