Le «borie» vichiane come paradigma euristico. Hybris dei popoli e dei saperi fra moderno e contemporaneo a cura di Rosario Diana - page 286

Roberto Mazzola
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vegetale e animale, della riattivazione, cioè, delle funzioni vitali tem-
poraneamente sospese. Ad esempio, il felice esito degli esperimenti
di Réaumur per allungare il ciclo vitale degli insetti mostrava che la
durata della vita non era prefissata; una conclusione da lui estesa, per
via analogica, all’uomo
7
. Una prospettiva che Benjamin Franklin tro-
vava entusiasmante perché gli sarebbe piaciuto ammirare di persona
i progressi compiuti dall’umanità futura. Secondo Maupertuis, una
volta scoperto il segreto per rallentare le funzioni vegetative, fino
quasi a sospenderle in una sorte di morte apparente per poi riani-
marle, si sarebbe trovata l’arte di prolungare di molto la vita umana.
In questo contesto
8
si collocano le riflessioni sulla durata del-
la vita di Buffon che, pure condividendo l’ideale di perfettibili-
tà dell’uomo e l’ottimistico progetto di liberarlo dalla paura della
morte che animavano questo tipo di ricerche, le riteneva contrarie
al buon senso e all’esperienza e scientificamente impraticabile per-
ché violavano la legge fondamentale della vita che stabilisce che in
natura tutto cambia, si altera e muore
9
. Per Buffon, affermare che
grazie ai progressi della scienza e della medicina si sarebbe potuto
trovare il modo per rinviare il termine fatale è come ritenere pos-
7
Cfr. R. Reamur,
Mémoires pour servir à l’histoire des insectes
, Paris, de l’Imprime-
rie Royale, 1736-1742, 6 voll., vol. II, p. 45.
8
Cfr. R. Favre,
La mort dans la littérature et la pensée françaises au siècle des Lumières
,
Lyon, Presses universitaires de Lyon, 1978, pp. 227-231. Nel XVIII secolo si
manifesta un nuova sensibilità nei confronti della morte di cui Buffon avverte la
radicalità soprattutto tra le persone colte che per la loro educazione erano ormai
incapaci di guardare in faccia il dolore e la morte, mentre sottolinea Buffon, la
gente comune, soprattutto in campagna, così come i selvaggi affrontavano la
fine della vita senza grandi timori (cfr. ivi, p. 584). Contrapposizione, quest’ul-
tima, tanto più significativa tenuto conto che, come Michèle Duchet ha giusta-
mente osservato, per Buffon lo stato selvaggio è pura negatività (Id.,
Présentation
,
cit
.
, p. 36). Ma almeno per quanto riguarda il rapporto con la morte il naturalista
francese riconosce la superiorità morale dei selvaggi rispetto all’uomo civilizza-
to. Essi, scrive Buffon, rispettano i loro morti, ne onorano la memoria mentre
noi fuggiamo, li abbandoniamo, non li vogliamo più vedere, non abbiamo il co-
raggio né la volontà di parlare di loro, evitiamo persino i luoghi che potrebbero
ricordarceli (cfr.
De l’Homme
, pp. 587-588).
9
Cfr. ivi, p. 557.
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