Le «borie» vichiane come paradigma euristico. Hybris dei popoli e dei saperi fra moderno e contemporaneo a cura di Rosario Diana - page 210

Raffaele Carbone
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La lettura che si delinea in queste pagine si costruisce attraverso
un confronto con le interpretazioni di
Des Cannibales
proposte da
Gérard Defaux e Tzvetan Todorov, evocate in tempi più recenti
da David Quint. Secondo questi studiosi, la riflessione montai-
gnana sull’altro non riesce in realtà ad attingere l’altro. Facendo
leva su alcuni testi di Montaigne, tra cui quello in cui è detto che
«l’homme ne peut estre que ce qu’il est, ny imaginer que selon
sa portée»
2
, Defaux sostiene che il pensatore bordolese, animato
nei propositi dalla volontà di offrirci una rappresentazione fedele
dell’universo cannibale, nei fatti proietta sulla pagina i suoi pro-
pri desideri, i suoi propri miti e quelli della cultura umanistica del
suo tempo
3
. Seguendo i movimenti del testo montaignano, nota
Defaux, i grandi autori dell’Antichità (Platone, Licurgo, Erodoto,
Plutarco, Properzio, Orazio, Seneca, Ovidio, Virgilio, Persio,
Giovenale, Claudiano) sostituiscono la loro voce a quella dei te-
stimoni di Montaigne dando corpo e risonanza, ancora una volta,
al grande mito umanistico delle origini in modo tale che la poesia
e la filosofia costituiscono il mezzo dell’unico discorso possibile
sull’alterità del Nuovo Mondo: alla fine solo il mito esiste, esso
è la sola Presenza, mentre l’altro resta impenetrabile, chiuso per
sempre nella sua differenza e da essa isolato
4
.
2
M. de Montaigne,
Les Essais
, édition par P. Villey et V.-L- Saulnier, Paris,
P.U.F., 2004 (d’ora in poi
Essais
), p. 520 A (tr. it.
Saggi
, a cura di F. Garavini, note
e testo francese a fronte a cura di A. Tournon, Milano, Bompiani, 2012, p. 947).
3
Cfr. G. Defaux,
Rhétorique et représentation dans les Essais: de la peinture de l’autre
à la peinture du moi
, in
Rhétorique de Montaigne
, Actes du Colloque de la Société des
Amis de Montaigne (Paris, 14 et 15 décembre 1984), réunis par F. Lestringant,
Paris, Champion, 1985, pp. 21-48, p. 37.
4
Cfr. Id.,
Marot, Rabelais, Montaigne: L’écriture comme présence
, Paris-Genève,
Champion-Slatkine, 1987, pp. 174-175. Questa linea interpretativa – che in al-
tre forme è seguita tra gli altri da J.I. Abecassis,
“Des cannibales” et la logique de
la représentation de l’altérité
, in «Bulletin de la Société des Amis de Montaigne»,
numéro spécial:
Montaigne et le Nouveau Monde
, VII
e
s., 1992-93, 29-32, pp. 195-
205 – ha per certi versi un possibile antecedente in un articolo di Aldo Sca-
glione, secondo il quale l’atteggiamento di Montaigne verso le popolazioni del
Nuovo Mondo è quello dell’umanista che si serve dell’immagine dell’Indiano
felice, buono e soprattutto coraggioso per confermare i limiti psicologici e mo-
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