Le «borie» vichiane come paradigma euristico. Hybris dei popoli e dei saperi fra moderno e contemporaneo a cura di Rosario Diana - page 193

Il mito di Prometeo in età moderna
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delle
Metamorfosi
si ripropone il
tòpos
dell’uomo che, a differenza
degli altri viventi, ebbe un «os sublime» che gli permise di «cae-
lum videre» e di «erectos ad sidera tollere vultus». È questa una
prerogativa di eccellenza che al principio produsse un’età dell’oro,
ma che poi degenerò per la superbia dei mortali, i quali, prosegue
Ovidio, sciolsero le vele delle navi che per lungo tempo erano ri-
maste ancorate a terra e con queste «fluctibus ignotis insultavere»
(v. 134), balzarono sulle onde sconosciute, sospinti da una frenesia
incontenibile di ricchezze fomentatrici di guerre. L’uomo foggiato
da Prometeo a sua immagine e somiglianza travalicò ogni limite
assegnato al suo essere. L’oltraggio commesso dal titano con il fur-
to del fuoco trovò un corrispettivo nelle trasgressioni dei mortali.
Da questo punto di vista, la cultura latina non differisce da quella
greca nel condannare chi non si attiene al principio regolatore del
«ne quid nimis». Properzio ammonisce che «non può portare un
gran carico la navicella del tuo ingegno» e la navigazione non deve
allontanarsi dalla riva:
alter remus aquas alter tibi radat harenas:
tutus eris: medio maxima turba mari est.
Ed è di rimprovero il tono con cui si domanda «cur tua prae-
scriptos evecta est pagina gyros?»
5
.
Con il cristianesimo Prometeo può essere identificato, nella bi-
valenza delle interpretazioni, tanto con Dio creatore o con Gesù
redentore che ricongiunge l’alleanza tra Dio e uomo, quanto con il
ribelle e superbo Lucifero che volle essere come Dio. In tutti i casi
i primi pensatori cristiani non cessano di condannare quella che
Tertulliano definisce la
hybris
della «mala curiositas». Non per nulla
nell’introduzione al
De praescriptionibus adversus haereticos
egli avverte
che «piuttosto che conoscere ciò che non dobbiamo, è meglio igno-
rare, dal momento che già siamo giunti alla conoscenza di quello che
ci è lecito sapere»
6
. Questo divieto che, quasi sorprendentemente, si
5
«Non est ingenii cumba gravanda tui» (
Elegia
III, 3, 21-24).
6
PL
Migne, II, c. 9.
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