Le «borie» vichiane come paradigma euristico. Hybris dei popoli e dei saperi fra moderno e contemporaneo a cura di Rosario Diana - page 162

Francesco Piro
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come dimensione antropologica e non in quanto conseguenza di
una rivelazione diretta da parte di Dio.
Ovviamente, si potrebbe discutere a lungo delle ambiguità pre-
senti in questa scelta vichiana, della difficile convivenza tra i suoi
elementi eterodossi e i suoi elementi apologetici. Ma, nel contesto
di questo contributo, ciò che voglio soprattutto chiedermi è se l’a-
gostinismo “naturalizzato” di Vico non vada inteso anche come
un bilancio critico di due secoli di infelici dispute sui rapporti tra
Libero Arbitrio e Grazia e come tentativo di fare saltare le due roc-
caforti in eterna guerra della teologia “rigida” (domenicani, gian-
senisti, calvinisti…) e della “teologia rilassata” (gesuiti, arminiani,
sociniani). Il che è evidente nel caso di altri autori del suo tempo.
Malebranche è, come oratoriano, evidentemente ostile ai gesuiti
ma, per arrivare al suo sistema, deve rompere – e violentemente –
anche con Arnauld. Leibniz, sia pure con i toni diplomatici che gli
sono consueti, ci fa capire che preferisce richiamarsi alla Scolastica
più antica e cercare lì le risorse per uscire dal ginepraio. Anche
Pufendorf, nel
Jus Feciale Divinum
(edito postumo nel 1695), cerca
di rompere i fronti convertendo i calvinisti al libero arbitrio e i
luterani alla teologia del patto.
Quel che ne pensasse Vico non possiamo, ovviamente, saperlo.
In terra cattolica, almeno a quei tempi, i laici, i “padri di cinque
figli”, non avevano la libertà di esprimersi troppo su temi che ri-
guardassero i dogmi della fede. Malebranche era un ecclesiastico,
Leibniz e Pufendorf erano protestanti e perciò dotati del diritto di
parola su questioni teologiche. Vico non è né l’una né l’altra cosa
e dunque si capisce bene perché egli abbia fatto, come è tipico dei
filosofi non tonsurati in terre cattoliche, una netta demarcazione
del suo ambito da quello praticato dai teologi. La “teologia civile
ragionata” non è la teologia dei teologi, ma è scienza dell’ordine
civile e dei suoi modi di costituzione.
Tuttavia, pur nella distanza dell’oggetto che egli sceglie come
suo tema – la costituzione della vita civile – dalla problematica
soteriologica, Vico non cessa di riflettere sulla grande disputa che
aveva attraversato i secoli precedenti. Lo dimostra, oltre al linguag-
gio tecnicamente teologico del
De Constantia
, anche una preziosa
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